U3 – iQuaderni #3
Rappresentazioni urbane
Urban Representations
a cura di ETICity
settembre_dicembre 2013 / september_december 2013
Ci sono tutte le ragioni per essere pessimisti, ma proprio per questo è necessario aprire gli occhi nella notte, continuare a spostarsi, rimettersi in cerca delle lucciole.
Didi-Huberman, 2009, p.31
Introduzione. Una dichiarazione di po-etica.
Nelle metropoli, nelle città medie, non meno che nei piccoli centri, interessanti esperienze sociali costruiscono e attivano spazi di dialogo, d’incontro e di conflitto con i diversi attori pubblici e privati presenti sul territorio, producendo nuove rappresentazioni di loro stesse, dei territori che abitano e dello sviluppo urbano che generano. Si tratta di movimenti, organizzazioni di cittadini e attivisti caratterizzati spesso da un forte ancoraggio territoriale, che disegnano rappresentazioni complesse, spesso conflittuali o alternative a quelle consolidate, necessarie a promuovere e sostenere il proprio percorso.
La ricchezza delle immagini plurali si contrappone all’egemonia di rappresentazioni urbane calate dall’alto, che appiattiscono la complessità dei territori per imporre raffigurazioni finalizzate a interessi particolari e che sottendono specifiche relazioni di potere. Queste s’impongono sempre più come un’alternativa importante da cui è difficile poter prescindere se si vuole provare a ri-leggere, comprendere, immaginare e governare le città.
A essere entrate in crisi sono proprio le storie vincenti, storie di successo che le città e i territori hanno fatto proprie per sostanziare e dare forma all’economia della conoscenza e del simbolico che ha progressivamente preso il posto dell’economia fordista. Quando queste storie non appaiono più convincenti occorre reinventare e ricominciare da nuove storie e nuovi narratori, affinando le capacità di ascolto (Beauregard, 2005).
Le diverse esperienze raccolte in questo numero hanno in comune la volontà di ripartire da ciò che è esistente e vitale, da ciò che si sottrae e si oppone alla sbornia neoliberista. Si tratta di resistenze, nuove forme di pluralismo e condivisione, evidenze empiriche fortemente ancorate alle realtà territoriali che re-inventano un possibile futuro, seppur in modo meno faraonico di quanto avvenuto negli anni ‘90. Indagare le auto-rappresentazioni significa quindi intercettare questo potenziale narrativo dei territori, alle volte sopito o non sufficientemente visibile.
Nel saggio Come le lucciole. Una politica delle sopravvivenze, Georges Didi-Huberman costruisce sulla delicata metafora della sparizione delle lucciole una potente riflessione sul ruolo delle rappresentazioni nel rendere possibile il cambiamento e dunque “il pensare” un futuro. A partire dalla politica e dalla poetica di Pasolini, il filosofo sposta il ragionamento sul presente e ci aiuta a riflettere sul senso del continuare a cercare. Secondo Huberman, Pasolini ha perso, sul finire della sua vita, il desiderio di “vedere”, ovvero la capacità di riconoscere le impalpabili scintille luminose sotto il fascio di luce accecante del potere costituito. Tale avvilita considerazione – perché è a Pasolini che si deve invece la capacità di avere colto nell’impertinente vitalità della classe popolare italiana l’unica forza davvero resistente al “nuovo fascismo” che si andava profilando – costituisce l’avvio di una riflessione sulla possibilità di un’alternativa, basata sulla capacità di vedere, sul rifiuto del pessimismo e sulla necessità di continuare a spostare il punto di osservazione. Si tratta allora di cercare approcci situati e temporanei, ma tenaci nella loro adattabilità e nella costanza della domanda che pongono, capaci di scrutare nel buio:
“Sarebbe criminale e stupido mettere le lucciole sotto un riflettore credendo di poterle osservare meglio. E non serve a nulla studiarle avendole prima uccise, trafitte con uno spillo e fissate su un tavolo da entomologo, o osservate come fossero cose antichissime prigioniere nell’ambra da milioni di anni. Per conoscere le lucciole, bisogna vederle nel presente della loro sopravvivenza: bisogna vederle danzare vive nel cuore della notte [...]” (Didi-Huberman 2009, p. 31).
Abbiamo dunque voluto dedicare questo numero dei Quaderni a quelle ricerche che osservano e seguono le lucciole nel buio nella notte. Non è un caso che i contributi raccolti siano esito del lavoro di giovani ricercatrici e ricercatori che, provenienti da paesi e discipline diverse, reinventano e sostantivano il campo degli studi urbani.
Abbiamo privilegiato ricerche che non fossero limitate dagli steccati nazionali o europei, ma che offrissero uno sguardo transnazionale; contributi che guardassero a movimenti, lotte e pratiche di condivisione come portatori di una rappresentazione differente rispetto a quella consolidata o “ufficiale” legata a un territorio. Obiettivo comune dei lavori è quello d’indagare la capacità delle diverse esperienze territoriali di fare rete tra loro o di incontrarsi all’interno d’istanze culturali più ampie, per comunicare, condividere e costruire nuove rappresentazioni. Nel farlo, due aspetti importanti sono emersi: gli strumenti messi in campo e le relazioni che le auto-rappresentazioni sono in grado di instaurare con le rappresentazioni esistenti prodotte da istituzioni e media.
L’insieme dei contributi dimostra, infatti, come i ricercatori di studi urbani in questi ultimi anni abbiano cominciato a guardare con sempre maggiore interesse alle risorse e ai potenziali che emergono dai territori. D’altra parte, dimostrano anche come, in alcuni casi e da diverso tempo, i territori abbiano iniziato a osservarsi e raccontarsi direttamente, mostrando una spiccata e dinamica consapevolezza di sé.
Le auto-rappresentazioni costituiscono una parte importante dei contenuti di questo numero, arricchite da riflessioni sul senso e sugli strumenti che le sostanziano e sull’esplorazione delle diverse sfaccettature e conseguenze che la potenza delle rappresentazioni ufficiali può assumere nel governo dei territori.
Anche i modi e le forme mediante i quali un territorio si riconosce e si restituisce sono infatti in profonda trasformazione, soprattutto perché sono entrati in crisi i presupposti e le idee di sviluppo. A questa crisi, che è economica, sociale e culturale, corrisponde una crisi delle rappresentazioni consolidate, dei modi e delle forme mediante i quali una società prefigura il suo futuro e le forme di convivenza a esso associate.
Diversi contributi raccontano della pluralità delle rappresentazioni possibili che emergono da pratiche di attivazione dei territori, in grado di raccontare se stessi affiancando, bilanciando e a volte opponendosi alle rappresentazioni prodotte da media e da istituzioni nazionali e locali. In maniera diversa, la sequenza d’immagini costruite su Piazza Martim Moniz a Lisbona da Tulumello e Ferro, sull’educazione popolare a Buenos Aires da Castronovo e Visco e le narrazioni esplorate da Briata sulle trasformazioni di Hackney a Londra ci raccontano di come le auto-rappresentazioni siano in grado di discutere e di contrapporsi consapevolmente alle rappresentazioni ufficiali. Briata ci racconta in particolare di come alcune contro-rappresentazioni univoche, sebbene autorevolmente prodotte, possano risultare limitanti per gli attori locali, che decidono di lavorare autonomamente per esprimere una visione plurale di sé.
Rappresentazioni affini ma differenti sono quelle apparentemente contro intuitive, in cui lo spazio del vissuto, tradizionalmente soggettivo e interno, finisce per coincidere con lo spazio delle rappresentazioni, per definizione esterno e oggettivo. È il caso dell’Atene di cui ci racconta Michou, in cui la crisi ha offerto ai senza casa spazi per l’abitare nelle arcate abbandonate dai negozi della centralissima Solonos Street, o del palazzo in viale Bligny 42, di cui Tooa ci presenta un contro-racconto visuale come spazio intimo e quotidiano, sconosciuto alle narrazioni della cronaca nera di Milano. Seguendo la medesima traccia, Ogino-Knauss sceglie di narrare attraverso un film travelogue la resistenza del Narkomfim, uno dei primi interventi costruttivisti residenziali di Mosca, nel tentativo di preservare dalle pressioni speculatrici la riflessione d’avanguardia sull’abitare da esso rappresentata.
A questi contributi, che pongono complessivamente il tema della costruzione di auto-rappresentazioni territoriali consapevolmente critiche, se ne affiancano altri che aprono al tema del senso delle rappresentazioni rispetto ai territori da rappresentare. Senel in particolare propone lo sguardo del critical mapping come strumento che emerge prepotentemente nel contesto della ricerca urbana contemporanea, per la sua capacità e volontà di supporto all’espressione del potenziale inespresso o inascoltato dei territori. Questo si colloca all’interno di un nutrito campo di ricerca e di attivismo che osserva dall’interno la produzione delle rappresentazioni egemoniche, per svelarne gli effetti perversi sulle soggettività, sulle collettività sociali, sui corpi spesso vulnerabili. Con la medesima prospettiva, il contributo di Giordano si interroga sulla legittimità del ruolo del cartografo, sull’autorialità e sul ruolo delle mappe anche nell’ambito di processi partecipativi. Gorzanelli focalizza il proprio interesse sugli strumenti in grado di costruire o sostenere la costruzione di una rappresentazione collettiva multi-attoriale, stratificata e complessa. Dorigotti mette in luce i modi audio-visuali coi quali accostarsi e restituire l’autorappresentazione dei giovani artisti del Rwanda post-genocidio, in contrapposizione alla cancellazione della memoria della tragedia operata attraverso i programmi urbani di sviluppo della nuova Kigali.
Sollecitando il tema delle rappresentazioni dominanti, alcuni contributi si soffermano sul loro consapevole utilizzo come strumento per valorizzare il potenziale di alcuni luoghi o per cambiare le sorti di un’area, innescando fenomeni di valorizzazione, attrazione e inclusione. Altri indagano al contrario la costruzione di rappresentazioni ufficiali e la loro veicolazione da parte della cultura mainstream come mezzi funzionali all’esercizio del potere e al controllo sociale.
Nel primo caso, si tratta di retoriche ufficiali perché istituzionalizzate, ma che vogliono veicolare immagini alternative di luoghi che nell’immaginario collettivo e nei media sono marginali in quanto di piccole dimensioni, inaccessibili, degradati. Così Potz e Sept raccontano dei centri urbani minori in Germania che si reinventano all’interno del movimento internazionale Cittaslow; Buslacchi restituisce la trasformazione dell’immagine di Marsiglia da città-porto a capitale della cultura; Kokkali esplora la retorica della diversità in opposizione a quella della segregazione associata a quartieri multietnici; Manzo infine quella della “città ideale nella città” con la riqualificazione inconclusa dell’area S.Giulia di Milano attraverso un’operazione immobiliare.
Tali rappresentazioni intendono veicolare valori positivi, non privi di ambiguità e di effetti inattesi, non controllabili. Fino a che punto Cittaslow è in grado di promuovere i comuni con minori possibilità economiche, anziché agire puramente come marchio in grado di attrarre turismo nelle aree più prosperose? Quale diversità viene promossa nelle Chinatown del cosmopolitismo e quale invece viene selettivamente nascosta perché considerata scomoda, non commercializzabile? Le politiche culturali tengono conto delle istanze sociali? Dove agiscono puramente come brand, e dove invece possono diventare strumento per veicolare voci plurali? E infine, fino a che punto l’immagine di un progetto cosiddetto di qualità ha la forza di portare avanti un’operazione di riqualificazione di un’area urbana dismessa, e dove la fragilità dei processi di partecipazione pubblico-privato prende il sopravvento?
I contributi che si soffermano sul rapporto tra immagini veicolate e controllo sociale esplorano le rappresentazioni utilizzate degli apparati istituzionali, transnazionali e nazionali che fanno leva sulla paura del diverso, sulle fragilità sociali, sulla tutela di privilegi patrimoniali acquisiti, riproducendo distorsioni della realtà. Su questo tema si confrontano sia Merli e Cappuccini che Bernardi. I primi in particolare disvelano i meccanismi di securizzazione dello spazio urbano, approfondendo le derive xenofobe in un’Atene afflitta dall’austerity; Bernardi illustra invece il caso della razzializzazione e criminalizzazione del migrante, il suo costante rischio di deportazione all’interno della condizione di provvisorietà e di temporalità sospesa che lo affligge.
L’insieme dei saggi qui raccolti apre una riflessione e lancia una sfida nel discutere cosa voglia dire oggi essere desiderosi di “scorgere le lucciole”, rifiutando il pessimismo legato all’incapacità di interpretare il presente nella sua ricchezza, continuando a spostare il punto di osservazione e non stancandosi di cercare strumenti diversi, fertili anche quando contraddittori.
Contributi:
Simone Tulumello & Giacomo Ferro – Le volatili rappresentazioni di piazza Martim Moniz a Lisbona. The fleeting representations of a square: Martim Moniz, Lisbon.
Paola Briata – Acquired for development by… le giovani generazioni e la rigenerazione di East London. Acquired for development by… The Young Generation and East London.
Maria Michou – Athens streetside arcades: silent gestures of minor occupation.
Giansandro Merli & Monia Cappuccini – Atene tra crisi economica, narrazioni urbane e discorso razzista. Urban narratives and racist propaganda in the city of Athens.
Ifigeneia Kokkali – City representations and the selective visibility of the (ethnic) “Others”. A short note on the fervent “diversity” in Europe.
Maria Elena Buslacchi – La moltiplicazione degli Off. Rappresentazioni urbane in una Capitale Europea della Cultura. Off Multiplying. Urban representations in an European Capital of Culture.
Petra Potz & Ariane Sept – Cittaslow-Germany: dove i piccoli centri urbani si rappresentano. Cittaslow-Germany: where small cities represent themselves.
Lidia K.C. Manzo – MILANO MONTECITY. La città sospesa. MILANO MONTECITY. The suspended city.
Cristina Gorzanelli, Gail Ramster, Alan Outten & Dan Lockton – Cittadini e nuovi media per un’intelligenza creativa. Citizens and new medias for a creative intelligence.
Aslihan Senel – Mapping as Performance: An Alternative to Authoritative Representations of Istanbul.
Giuliana Visco & Alioscia Castronovo – Trasformazioni metropolitane ed educazione popolare a Buenos Aires. Metropolitan transformation and “popular education” in Buenos Aires.
Claudia Bernardi – Temporalità urbane. Politiche del controllo e reti migranti. Urban temporalities. Politics of control and migrant networks.
Maria Luisa Giordano – Who’s maps? Interrogating authorship in collective map-making.
Contributi visuali
Irene Dorigotti – Kigali or building a symptomatic city. Young’s Imaginary and Crea(c)tivity in Rwanda after 1994.
TooA – 42, storie di un edificio mondo. 42, tales from a global building.
Oginoknauss – ДОМ НОВОГО БЫТА – DOM NOVOGO BYTA.